Karim Forlin
«Che c’è di nuovo?»
MASI, Palazzo Reali, LAC Lugano Arte e Cultura, 2016
Prix Migros Tessin d’encouragement à la création artistique
Il lavoro di Karim Forlin è strettamente connesso alla nozione di linguaggio e alle modalità con cui l’uomo definisce, attraverso la costruzione di sistemi simbolici, la propria presenza nel contesto naturale. Le sue installazioni, che per certi versi si ricollegano alla tradizione dell’Arte Povera, sono costituite da readymade o da elementi trovati in natura che l’artista modifica con i propri interventi. I singoli oggetti che figurano nelle sue installazioni appaiono come reperti, apparizioni, tracce o simboli, mentre l’interesse dell’artista è rivolto soprattutto alle connessioni e ai legami semantici che si instaurano tra di essi. Sin dal suo esordio, nel 2010, tutte le sue opere sono concepite come altrettante lettere di un abbecedario fittizio, anche se a questo ordinamento sistematico si contrappone un modo di procedere per analogie, divagazioni, intuizioni improvvise, in cui si mescolano un fitto intreccio di riferimenti letterari e concettuali. Per questa mostra, l’artista ha immaginato un’unica installazione, articolata attorno a diversi elementi, che costituisce una riflessione sul suo legame con il territorio ticinese e con la sua valle d’origine: la Verzasca.
L’installazione si presenta come uno spazio immerso nella penombra, illuminato da singole sorgenti luminose, in cui si susseguono e sono posti in relazione tra loro una serie di oggetti: una lampada al neon composta da un tubo trasparente di forma circolare che richiama alla memoria la tradizione dell’arte minimalista; una frase che campeggia sul muro realizzata con una pittura fosforescente; dei blocchi di granito dipinti con i colori fluorescenti che vengono normalmente usati per marcare futuri interventi da parte dell’uomo su strade, boschi o edifici. Infine, appeso a una parete, un manufatto in legno che ricorda una cadola, lo strumento con cui in passato il granito veniva trasportato a spalla.
Gli elementi di cui si compone l’installazione sono altrettante occasioni che ci invitano a una riflessione sulla relazione tra uomo e ambiente: l’illuminazione al neon come fonte generatrice di luce e calore, che simbolicamente rappresenta una sorta di focolare moderno ancora fragile, un genius loci meccanico ed ingegneristico; le lastre di granito come rimando alla memoria collettiva ticinese, che va dalle incisioni rupestri alle pietre miliari, dalle palizzate ferroviarie ai merli di confine; la costruzione in legno come proficua interazione tra materia e costruzione, come ponte tra natura e cultura, come fatica di Sisifo a cui siamo condannati. L’opera si sottrae volutamente a un’interpretazione univoca, lasciando all’immagine il compito di comunicare una molteplicità di possibili interpretazioni e significati, a metà tra immaginazione e realtà. La frase che appare e scompare: “Io? Inseguo un’immagine, nient’altro”, citazione del poeta Gérard de Nerval, diventa espressione di questa dialettica tra sogno e veglia, illusione e ragione, ombra e luce, natura e cultura. Al contempo, nel graduale passaggio dalla luce all’oscurità, fa vivere metaforicamente